Home Cultura Russo: “Volo d’angeli, Sinfonia d’Archi, Fiore del Cielo e Ali di Luce, le macchine con il segno del loro tempo”
Russo: “Volo d’angeli, Sinfonia d’Archi, Fiore del Cielo e Ali di Luce, le macchine con il segno del loro tempo”

Russo: “Volo d’angeli, Sinfonia d’Archi, Fiore del Cielo e Ali di Luce, le macchine con il segno del loro tempo”

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L’arte è il ponte che unisce fantasia e realtà, è lo spazio che ci riconsegna al sogno. È da esso, inteso nella concezione junghiana, di inconscio collettivo in cui si raccoglie il comune sentire e la psiche universale dell’umanità, che gli archetipi riemergono, indirizzando la vita dell’uomo sotto forma di intuizioni. Lungo quel ponte Angelo Russo ha incontrato “Sinfonia d’archi”, la sua idea di macchina di santa Rosa che ha poi realizzato per vederla sfilare nelle vie buie della città ed entrare nella storia insieme alle altre macchine.\r\n\r\nLo ha raccontato durante un incontro organizzato ieri, dal titolo la “Macchina di santa Rosa tra sogno, arte e passione” con il Circolo dei lettori presso la biblioteca comunale A. Pistella di Vetralla, al quale è intervenuto anche il presidente del sodalizio, Massimo Mecarini, e la poetessa Lorena Paris.\r\n\r\nSulla spinta dei ricordi, rievocati da Russo e da Mecarini, la macchina del tempo si è messa in moto per trasportare i presenti in uno straordinario viaggio a ritroso negli anni, ma anche nei secoli, accompagnati dalla voce di Lorena Paris nella lettura di suoi pensieri poetici e di alcuni scritti di Russo.\r\n\r\nScopo dell’incontro, parlare della macchina di santa Rosa, non come si fa di solito, raccontando solo ciò che è stato, ma andare al di là delle cose per ricercare un universo di sentimenti, di implicazioni emotive e di suggestioni che poi plasmano la tradizione ammantandola di un’aurea mistica e surreale.\r\n\r\nNell’ideazione di Sinfonia d’Archi vivono “due sogni, uno molto grande e uno più piccolo, personale”, dice  Russo. “I sogni sono desideri – prosegue richiamando la prospettiva junghiana – in essi si riflette lo stato psichico di chi sogna, ma anche l’inconscio collettivo”. E proprio in questo luogo psichico che unisce la storia di un popolo anche la tradizione di santa Rosa ha depositato i suoi valori, i suoi simboli, le sue forme.\r\n\r\nNella sua storia ricorre un sogno molto importante, quello di Alessandro IV. “Santa Rosa – racconta Russo – era stata sepolta nella nuda terra a santa Maria in Poggio, molti andavano a visitarla e parlavano di lei. Forse fu proprio ascoltando queste storie che Alessandro IV, secondo i meccanismi spiegati da Jung, sognò la Santa che gli chiedeva di essere portata nella chiesa di san Damiano, ora  basilica di santa Rosa, dove da viva non l’avevano accettata. Le Clarisse non l’avevano accolta perché non aveva una dote. Alessandro fece questo sogno, il grande sogno di Jung, probabilmente nato dalla coscienza collettiva del popolo, e il corpo della Santa fu spostato. Nel 1999 iniziai a lavorare al disegno della macchina di santa Rosa. Gli schizzi che facevo, però, non mi convincevano, così mi dissi che se non avessi trovato un’idea originale avrei rinunciato. Una notte sognai una stile alta con fori tondi e in basso una fontana, mi svegliai con un’intuizione, la macchina doveva avere una struttura con dei vuoti attraverso i quali si potesse vedere il cielo”.  È nata così Sinfonia d’archi.\r\n\r\n“Erano state presentate dieci macchine – prosegue  Russo –  Sinfonia d’Archi era diversa da tutte le altre. O la scartavano o vinceva. Ha vinto”. La rivoluzione di Sinfonia d’archi non fu solo nello stile, ma anche nella realizzazione, che impiegò per la prima volta una lega leggera in alluminio e il polistirolo. In precedenza, invece, si allestiva il traliccio centrale  e poi si rivestiva di cartapesta.\r\n\r\nA completare il mosaico dell’universo di vissuti che si intrecciano inevitabilmente intorno a una tradizione secolare, c’è anche il racconto di Massimo Mecarini, il presidente del Sodalizio dei facchini, nonché facchino lui stesso per molti anni. “Per un facchino portare la macchina è un sogno che si coltiva fin da bambino”, dice, “anche per me è stato così, nonostante non provenissi da una tradizione familiare. Mio padre non era un facchino, ma ne conosceva molti. Quando li andava a salutare, vedevo questi uomini possenti e pensavo che anche io volevo diventare come loro. Volevo portare la macchina. Prima non c’era la fila che c’è oggi per diventare facchino. Mi presentai a Palazzo Borgognoni per fare la prova. Avevo gli zoccoli e Nello Celestini me la fece fare scalzo, dicendomi, però, che avrei dovuto ripeterla con le scarpe il giorno seguente. Così feci e alla fine lui mi disse “Bene fatti il vestito”. Ero diventato un facchino. La divisa oggi la forniamo noi, invece prima te la dovevi fare da solo. Anche la prova di portata era più pesante: la cassetta era di 160 chili, ora sono scesi a  150”.\r\n\r\nAll’epoca, però, anche le macchine erano più alte e più pesanti. Una tendenza che fu stroncata dopo il drammatico evento del 1986 quando la macchina ideata dallo scultore Roberto Joppolo, Armonia Celeste, rischiò di cadere e trascinare la folla in un’immensa tragedia.\r\n\r\n“Le macchine prima non dovevano rispettare parametri di altezza e di peso”, racconta Mecarini, “Solo per la base c’erano delle prescrizioni perché doveva passare nei vicoli. Con Armonia Celeste eravamo arrivati a 34 metri e mezzo. All’epoca ero ciuffo. Mi accorsi subito che qualcosa non andava. Nel primo tratto da san Sisto a piazza Fontana Grande fino alla sesta, settima, fila per i ciuffi il peso è relativo. In quel caso invece la sentivamo già pesantissima. Stavamo con le gambe piegate. Arrivati a piazza Fontana Grande tutti si lamentavano per quella mole che ci schiacciava. Era un peso eccessivo, insopportabile. Tanto che a piazza del Comune il sindaco Marcoccia propose di lasciarla lì. A quel tempo non si faceva nemmeno la sosta a piazza delle Erbe. Decidemmo di proseguire il Trasporto. Arrivati a piazza del Teatro eravamo talmente stremati ed era così pesante che per metterla sui cavalletti dovemmo fare un sollevate e fermi. Eravamo tutti con le gambe piegate”.\r\n\r\nI facchini non vogliono abbandonare, il loro desiderio è finire il Trasporto e riportare a casa la Santa, ma non sanno che stanno andando incontro alla tragedia. Non immaginano che di lì a poco sarebbe successo qualcosa di spaventoso. Iniziano la salita e a un certo punto  il peso di Armonia Celeste ha la meglio su chi trascina le corde che non ce la fa più e lascia. La macchina si piega sulla destra, sta per travolgere tutti.\r\n\r\n“Intorno c’era il panico – racconta Mecarini – facchini con le spalle rotte, gente che scappava da tutte le parti, i cannocchiali di sicurezza fracassati. A quel tempo la macchina era guidata dal costruttore, che era Socrate Sensi. In quell’occasione prese il comando della situazione Nello Celestini. Ci rialzammo, ma la macchina stava per cadere dalla parte opposta. Alla fine riuscimmo a raddrizzarla e ad arrivare sul sagrato del santuario. Ma l’avevamo posata con la statua della Santa che dava le spalle alla chiesa. Nello Celestini ci chiese se ci sentivamo di girarla. Così facemmo l’ultimo sforzo, un altro sollevate e fermi, prima di adagiare la macchina sui cavalletti e concludere un Trasporto che ha avuto del miracoloso per la scampata tragedia. Doveva essere la fine, invece fu l’inizio di una nuova era. Da quella volta il Trasporto fu affidato al capo facchino. Furono introdotti, inoltre, dei limiti di peso e di altezza. Rispettivamente di 50 quintali e 28 metri e mezzo. Con Armonia Celeste eravamo arrivati credo a circa 90 quintali”.\r\n\r\nSullo schermo della sala conferenze dell’Istituto comprensivo di Vetralla le macchine del passato tornano a sfilare, ognuna con il suo stile, ognuna con la sua storia e i suoi aneddoti.\r\n\r\n“Una macchina – dice Russo – deve esprimere il segno del suo tempo”. Guardandola a distanza di anni, deve raccontare l’epoca in cui è nata e vissuta. Secondo Russo macchine così sono, oltre a Sinfonia d’Archi, Volo d’angeli di Zucchi, Fiore del Cielo di Arturo Vittori e Ali di Luce di Raffaele Ascenzi.\r\n\r\nL’ultima curiosità è sulla divisa del facchino, la rivela Massimo Mecarini: “La fascia è rossa come la porpora dei cardinali che traslarono il corpo di Rosa al santuario delle Clarisse, e ha anche la funzione di sostenere la parte lombo sacrale. Il bianco, invece, è simbolo di purezza”.\r\n\r\nTiziana Mancinelli\r\n\r\n \r\n\r\n 

Redazione Viterbo Direttore responsabile Quinta Epoca. Economista, giornalista e scrittrice.