Home Politica Governo tecnico, Renzi: “Dico sì”, Zingaretti “Dico no”. L’ultima partita del Pd su cui tutti si giocano tutto.
Governo tecnico, Renzi: “Dico sì”, Zingaretti “Dico no”. L’ultima partita del Pd su cui tutti si giocano tutto.

Governo tecnico, Renzi: “Dico sì”, Zingaretti “Dico no”. L’ultima partita del Pd su cui tutti si giocano tutto.

0
0

Roma – Si dice che il destino sia la composizione e l’incastro multiplo di un insieme di decisioni della moltitudine di individui diversi”. Nessuna definizione è più valida di questa, se si pensa di applicarla al futuro del governo italiano. Di certo c’è solo un passaggio parlamentare piuttosto bollente, e non per le temperature di questi giorni, in cui Giuseppe Conte si presenterà alle camere per sottoporsi al voto di sfiducia, realisticamente, subito dopo Ferragosto. Da quel momento in poi, il destino del governo, e quello del Paese sarà, appunto, il risultato di un insieme di incastri, di una serie di volontà che stanno cercando sullo scacchiere politico la loro giusta composizione. La prima a manifestarsi è stata quella della Lega che ha rotto il patto di governo con i Cinque Stelle per invocare subito il voto. Il Carroccio da solo, però, non avrà la forza di mandare a casa Conte. Neanche se ai 58 senatori leghisti si unissero i 18 di Fratelli d’Italia e i 62 di Forza Italia. È chiaro, quindi, che Matteo Salvini per tornare alle urne, deve necessariamente guardare sul fronte opposto, in particolare nella casa del Partito Democratico. La sorte del governo giallo-verde, paradossalmente, passerà proprio dai dem. Se questi si unissero ai  107 senatori del Movimento Cinque Stelle, formerebbero una squadra di 158 senatori, sufficienti a mantenere Conte lì dov’è.  Se, invece, i 51 senatori del Pd votassero la sfiducia, insieme al centrodestra compatto, è chiaro che questa esperienza di governo sarebbe finita con 189 voti contrari a Conte. Che direzione prenderà il Partito Democratico? Quella che deciderà la partita che si è aperta tra Nicola Zingaretti e Matteo Renzi. Il primo, neo eletto alla segreteria nazionale del Partito Democratico, andando al voto subito, potrebbe rinnovare la squadra di senatori con  candidati della sua area. Sarebbe ottenere l’ultimo tassello mancante della leadership zingarettiana e dei ds, oramai dilagante dentro il partito. Dall’altra parte Matteo Renzi nella crisi di governo aperta in questi giorni, ha già intercettato il treno del ritorno. E i treni, si sa, bisogna prenderli quando passano. L’ex premier dem, infatti, si è detto favorevole a un governo tecnico. In queste ore ha intensificato la sua attività social e sulla sua pagina Facebook compaiono post quasi ogni due ore. Il concetto è sempre lo stesso “Davanti alla forzatura istituzionale di Matteo Salvini – scrive –  il Parlamento ha due strade: assecondare Capitan Fracassa e andare al voto, come vuole lui e quando vuole lui, oppure creare un Governo NoTax che eviti l’aumento dell’IVA e scongiuri il rischio dell’uscita dall’Euro. Io non ho dubbi”, dice Renzi, tanto che è ben disposto a chiudere un occhio sugli insulti pentastellati: “Ho molti motivi di risentimento personale contro chi in questi mesi mi ha attaccato e insultato, a cominciare dai Cinque Stelle  – scrive -.  Ma la politica si fa cercando il bene comune – continua –  non inseguendo le ripicche personali. E l’Italia viene prima delle correnti di partito. In parlamento ciascuno di noi dovrà votare: io sono convinto che ci sia una maggioranza per un governo istituzionale che salvi l’Italia. Chi dirà “no”, si assumerà la responsabilità davanti al Paese di consegnare alla destra estremista il futuro dei nostri figli”. Il lungo post prosegue con una serie di stilettate al ministro dell’Interno: “La partita contro Salvini oggi si gioca nei luoghi istituzionali della politica – continua l’esponente dem –  non inseguendo il populismo di chi governa la nostra sicurezza tra cubiste e mojito. Si vota in Parlamento, non in spiaggia. I miei colleghi e io saremo chiamati a votare. E ciascuno risponderà delle proprie scelte”. Quella di Matteo Renzi, però, è una partita molto più ampia, la chiarisce bene Carlo Calenda: “Renzi vuol fare un partito e ha bisogno di mesi in più. Lo posso anche capire, ma noi non possiamo stare appesi al partito di Renzi che deve nascere“, dice ai microfoni di Radio Capital. “Renzi – prosegue Calenda – lo faccia a viso aperto dicendo che ha bisogno di mesi un più per creare il suo partito e non inventi scuse, perché non è che siamo tutti fessi. È folle quello che tratteggia Renzi, un tentativo di prendere qualche mese in più, nel frattempo levare le castagne dal fuoco con un governo tecnico che dovrebbe fare una manovra lacrime e sangue, votandola assieme al Movimento 5 Stelle e a Forza Italia per avere infine Salvini al 60%. C’è una grande battaglia da combattere – spiega ancora l’europarlamentare del Pd intervistato da Radio Capital – va costruito un fronte largo e andare al voto senza paura, perché altrimenti oltre al rischio di perdere le elezioni c’è la certezza di perdere l’onore. Sarebbe oltretutto un favore a Matteo Salvini, il quale non aspetta altro che fare sei mesi di campagna elettorale dando addosso a un governo tecnico sostenuto da Pd e M5S. Noi a quel punto non avremmo la possibilità di essere credibili con gli elettori. Non possiamo fare accordicchi o scorciatoie”, conclude Calenda. Linea chiara che combacia con quella del segretario nazionale Zingaretti: “Un’esperienza di governo Pd-M5S, perché di questo stiamo parlando, regalerebbe a Salvini uno spazio immenso.  Nessuna paura del voto”, dice il segretario dem ad Huffington Post. Il destino del governo, quello giallo-verde e quello futuro, dunque, è tutto da scrivere, e, come per uno scherzo del destino, rischia di passare proprio dal Pd, più esattamente dallo scontro  atavico delle sue correnti. Entrambe determinate ad avere l’ultima parola in una vicenda che travalica la questione del governo, per  investire le prospettive future del partito, nonché il destino dei suoi più autorevoli attori. Zingaretti andando al voto con candidati suoi in parlamento completerebbe l’ultimo tassello della sua egemonia politica dentro il Pd, muovendosi, inoltre e finalmente, dalla precaria “casella” della presidenza della regione Lazio a quella del parlamento, dove, se pure non farà il premier, sarà comunque il leader dell’opposizione dem. Matteo Renzi ottenendo un governo tecnico non solo avrebbe il tempo di avviare il percorso di costituzione di un nuovo soggetto politico con esponenti governativi, ma anche quello di “sperimentare” la costruzione di un’area moderata di sinistra e non solo. A chi guarderà, per esempio, Forza Italia, qualora dovesse restare fuori dall’asse Salvini-Meloni? Non a caso Calenda la cita come probabile alleata in un eventuale governo tecnico. E il Movimento Cinque Stelle? Chiuso l’idillio con la Lega da che parte si girerà? Ecco che la mozione di sfiducia a Conte ha un significato molto più ampio del “fine corsa” di un governo. Non è l’ultimo, ma il primo atto di una serie di avvenimenti che andranno a definire il futuro politico italiano. Uno scenario che ad oggi nessuno conosce. E nessuno può prevedere. Perché non esiste. Perché non c’è. Perché determinato “dall’incastro multiplo di un insieme di decisioni della moltitudine di individui diversi, che l’uomo comune chiama destino”. Una partita, quella interna al Pd, su cui tutti si giocano tutto.

 

Tiziana Mancinelli

info@quintaepoca.it

 

ph foto Pagine Facebook

 

 

 

 

 

 

Redazione Viterbo Direttore responsabile Quinta Epoca. Economista, giornalista e scrittrice.