Home Attualità Giorno del Ricordo per le vittime delle foibe, Federici: “Oggi il corteo, domani le denunce contro i negazionisti di questa tragedia”

Giorno del Ricordo per le vittime delle foibe, Federici: “Oggi il corteo, domani le denunce contro i negazionisti di questa tragedia”

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Erano  carabinieri, agenti della guardia di finanza, impiegati pubblici, operai, casalinghe. Erano soprattutto uomini e donne, ed erano italiani. Solo dal 2004 la loro triste storia, scritta con una trama di sangue dalla ferocia del regime comunista slavo, inizia a riemergere dalle cavità profonde e terrificanti delle gole carsiche dell’Istria, conosciute con il nome di “Foibe”, dove per settant’anni è stata confinata e sepolta, ricoperta con strati insonorizzati di indifferenza da chi ha voluto che quella storia venisse dimenticata.\r\n\r\nFinché, nel 2004, una legge dello Stato Italiano, ha ufficialmente riconosciuto quella tragedia, istituendo il “Giorno del ricordo” in memoria delle vittime delle foibe. Da quel momento, quel coperchio di omertà calato su quegli eventi terrificanti, è finalmente saltato, e l’eco della voce di quelle  vittime  barbaramente uccise, è come se si fosse liberato da quelle viscere oscure e infernali delle terra, sprigionando tutta quella sofferenza e quell’umiliazione repressa per troppo tempo, che ora può finalmente parlarci della reale gravità di quel crimine contro altri esseri umani, restituendoci la memoria di quei giorni e di quegli eventi, in un atto che restituisce dignità a quelle esistenze martoriate, e forse, finalmente anche una dimensione di pace, nel momento in cui il ricordo  nel suo legittimo spazio nella storia.\r\n\r\nCosì, stamattina, il Comitato 10 febbraio, ha organizzato un corteo per celebrare il “Giorno del ricordo”, registrando una grande affluenza. Presenti, oltra alla cittadinanza, anche le associazioni combattentistiche, le rappresentanze militari e la classe politica locale.\r\n\r\nIl corteo è partito da piazza del Teatro alle 10,30 per proseguire lungo via Marconi, attraversare il Sacrario e scendere verso valle Faul, destinazione: il monumento in pietra a Claudio Celestini, primo infoibato viterbese identificato. Di fronte a quella lapide diversi cuscini di fiori. Uno riporta scritto: “Ai viterbesi che per tomba hanno una foiba”. Sono ben 14, infatti, i cittadini della Tuscia identificati dalla ricostruzione storica fatta dal Comitato 10 febbraio come vittime del regime comunista. Alcuni di loro sono stati infoibati, altri sono morti nei campi di concentramento, rende noto Silvano Olmi.\r\n\r\n“Noi non amiamo i muri – esordisce il segretario del Comitato 10 febbraio  – ma abbiamo chiesto sui social di alzare un muro con una gigantesca bandiera tricolore contro chi, ancora oggi, cerca di negare quegli eventi. Il “Giorno del ricordo” è stato ufficialmente riconosciuto con una legga dalla Repubblica Italiana nel 2004. Noi siamo qui per onorare e rispettare questa ricorrenza – dice ancora Olmi -. Se qualcuno non l’ha capito, lo ribadiamo. Quest’anno, infatti, abbiamo dovuto assistere in Comuni abbastanza vicino al nostro geograficamente, una sorta di aggressione verso questa manifestazione nel tentativo di sminuirne così il significato e l’importanza. Sono circa 20 mila le persone uccise nelle foibe e ben 350 mila costrette a scappare. Chi si ostina a negare questi fatti non ha il nostro disprezzo, perché non è un sentimento che ci appartiene, ma sicuramente la nostra commiserazione”.\r\n\r\nDa quando è stato squarciato il velo che aveva spento l’eco del dramma delle foibe, la partecipazione della cittadinanza alla commemorazione della memoria di queste persone cadute in modo così tanto crudele e disumano, è sempre più numerosa. Molti sono venuti oggi con bandiere dell’Italia gigantesche e coccarde. E c’è chi ha fatto del Tricolore un espressivo mantello, in sui si avvolge mentre ascolta con sguardo triste l’elenco dei viterbesi caduti.\r\n\r\n“Trecentocinquanta mila italiani costretti a scappare – prosegue Olmi – da terre fino a poco prima italianissime, poi cedute alla Jugoslavia  con il trattato di Parigi del 10 febbraio1947. Abbiamo istituto questo comitato molti anni fa. Ci siamo dati questo nome “10 febbraio” in memoria proprio di quell’atto per noi non positivo che ci ha fatto perdere definitivamente quelle terre. Poi ci sono le foibe. Non si può disconoscere la portata di una cosa simile. E invece, con molta incredulità, stiamo constatando il tentativo da parte di alcuni di fare proprio questo. Sono quattordici i viterbesi che hanno perso la vita in quei tragici eventi. Alcuni fucilati, altri gettati nelle foibe, altri ancora morti nei campi di sterminio e di concentramento. Una drammatica pagina di storia scritta da un lato dalle foibe e dall’altro dall’esodo. La ricerca storica che abbiamo intrapreso ci ha riconsegnato il nome di quattrodici conterranei che stavano lì e sono rimasti coinvolti in quella tragedia. Finimaldo Angeletti, nato a Nepi, l’ 8 maggio 1913, della Guardi di Finanza, evase dal campo di prigionia per poi essere nuovamente catturato dai partigiani slavi che lo fucilarono. Augusto Vacchi, nato ad Acquapendente il 20 aprile 1920, anche lui nella Guardia di Finanza, morì per deperimento organico in un campo di prigionia, dove non lo facevano nemmeno mangiare. Otello Vigerno, primo ragioniere della Prefettura, fu catturato dai comunisti slavi e di lui si perse ogni traccia. Poi c’è Francesco Brocchi, carabiniere, Ennio Carosi, anche lui carabiniere,  scomparso il 7 maggio 1945, forse infoibato, Carlo Celestini, un militare, la prima persona che abbiamo individuato, morto infoibato  il 28 aprile 1945. Proprio a lui è dedicato questo monumento. Pierino Corinti, nato a Castiglione in Teverina il 24 gennaio 1911. Fu fucilato dai partigiani. Luciano Lupattelli, carabiniere di Trieste, ucciso per non farlo parlare perché aveva infoibato un suo commilitone.  Giulio Mancini di Civitella d’Agliano, carabiniere ausiliario, chiese alla fine della guerra di andare a Gorizia per recuperare alcuni cose personali. Fu catturato, torturato, infine ucciso con un colpo alla nuca, sistema tipico dei regimi totalitari dell’epoca. C’è poi Cesare Merlani, nato a Viterbo, il 21 febbraio 1909. Impiegato comunale richiamato nella Guardia di Finanza, Merlani finì in un campo di concentramento dove incontrò la morte. Vincenzo Quadracci, nato a  Vasanello il 22 maggio 1894, vice brigadiere di  Polizia, prelevato con l’inganno. Di lui non si sono avute più notizie. Giovanni Ricci, nato a Bassano Romano il 18 febbraio 1915, nella  Guardia di Finanza perse la vita il 26 luglio 1946, sotto il crollo di una miniera dove era costretto a lavorare.  Fabio Tamantini, nato a Viterbo il 25 dicembre 1907, era guardia scelta della pubblica sicurezza. Fu fucilato in un massacro dove persero la vita ben 77 persone il 14 giugno 1945. La guerra era già finita, ma si continuava a mietere vittime. Infine Giovanni Tiburzi, nato a Cellere il 24 agosto 1916, carabiniere. Catturato, fu fatto salire su un camion e di lui si perse ogni traccia”.\r\n\r\nFatti tremendi che non possono essere dimenticati, poiché sarebbe come uccidere una seconda volta quelle persone. Lo ribadisce Maurizio Federici, responsabile provinciale del Comitato 10 febbraio: “È bello vedere, oggi, questa grande presenza di cittadini – dice rivolgendosi alle persone che hanno dato vita al lungo corteo e che si sono fermate davanti al monumento di Celestini per la deposizione dei fiori – si tenta, in tutte le parti, di portare avanti il negazionismo.  Prima le foibe non esistevano, poi sì, ma in fondo ad esse c’erano finiti solo cavalli, cannoni e qualche fascista che, dicono, se lo meritava. Sappiamo che non è così. Eppure c’è ancora chi oggi ha il coraggio di dire certe cose. C’è una legge, oltre a quella del 2004, che istituisce il Giorno del ricordo, ed è quella sul negazionismo.  Qualcuno, evidentemente, non lo sa, ma essa riguarda qualsiasi negazione di tutti i delitti e stragi avvenute nel secolo scorso. Così come non ci possono essere leggi ad personam, non può esistere nemmeno una legge ad historiam.  Il comitato 10 febbraio, da domani, inizierà a far partire denunce contro chiunque faccia negazionismo. È ora di finirla. I nostri profughi sono stati costretti a fornire le loro impronte digitali fino al 1949, finché questa disposizione ministeriale fu lasciata cadere. Una cosa che ci lascia sgomenti, adesso non abbiamo il coraggio di prendere impronte digitali a nessuno.  A 70 anni questi profughi che sono nati lì, hanno ancora problemi con il codice fiscale. Alcuni dicono che non sia valido, perché nei paesini piccoli della ex Istria e Dalmazia, non viene riconosciuto loro che sono nati in Italia, ma in Jugoslavia”.\r\n\r\nDeciso a combattere il negazionismo anche il sindaco di Viterbo, Leonardo Michelini: “In questa città – dice –  non c’è negazionismo, non ci appartiene, finché sarò sindaco, sarà così. Nel 2004 una legge ha istituito il ricordo delle foibe. Ma c’è stato un lasso di tempo di cinquanta, sessant’anni, segnato da una sorta di oblio. Sono state massacrate 20 mila persone, 350 mila esuli in fuga da quelle terre italiane.  Sono fatti che dobbiamo ricordare e per i quali dobbiamo chiedere perdono per questi lunghi anni di assenza di memoria che non ha fatto bene alla nostra nazione. Siamo qui per ricordare e deve accadere ogni anno”.\r\n\r\n 

Redazione Viterbo Direttore responsabile Quinta Epoca. Economista, giornalista e scrittrice.