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Quale chiesa sorveglia il Leone della Notte con occhi di Sole e di Luna

Quale chiesa sorveglia il Leone della Notte con occhi di Sole e di Luna

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Storie di ferragosto 2018

Viterbo – Simbolo di Viterbo è il leone: icona sacra ed emblema solare per eccellenza. Se ne trovano molti disseminati in città. E non sono tutti uguali. Tra le varie sculture che possiamo incontrare girando in centro, c’è n’è una, unica nel suo genere, piuttosto defilata, seppur collocata sul timpano centrale di una delle più belle chiese viterbesi, quella della Trinità, posta nel quartiere di San Faustino, da anni confinato dentro un corso inesorabile di progressivo degrado. Eppure un tempo a questo luogo è stata dedicata una grande attenzione. Tanto da richiamare mani di esperti maestri nel dare vita a quello che appare come un vero e proprio tempio dedicato alla SS. Trinità. Al centro della facciata, emerge, come un guardiano, una grossa testa di leone perfettamente scolpita. Guardandola più attentamente, però, si scorge immediatamente qualcosa di anomalo. Mentre la metà destra del muso dell’animale è perfettamente disegnata con baffi e il bulbo oculare, quella sinistra, seppur lavorata, manca di questi particolari. L’occhio sinistro in particolare è senza pupilla, quindi cieco. Una delle chiavi iniziatiche di accesso alla simbologia del dio Horus è il Leone della Notte che viaggia nella montagna di Manu, l’occidente. Ma come si collega il leone della Trinità al mito di Horus? Proprio per i suoi occhi, identici a quelli di Horus. Il dio Egizio, infatti, aveva l’occhio sinistro cieco, e quello destro sano che era, quindi, l’occhio divino. L’occhio destro perfetto è destinato a Horus, l’occhio sinistro imperfetto è destinato all’uomo. Nella leggenda quello sinistro è l’occhio che Horus perde nello scontro con Seth, il Dio del male, che vive e agisce sulla terra dopo aver usurpato il potere al suo legittimo re Osiride, ucciso e tagliato in quattordici pezzi. Horus, durante il suo passaggio sulla terra, deve assolutamente ritrovare e riempire il bulbo oculare vuoto del suo occhio sinistro. L’occhio destro perfetto e l’occhio sinistro senza pupilla, dunque cieco, rappresentano, quindi, il principio di un cammino iniziatico che porterà l’individuo a riuscire a vedere nuovamente con entrambi gli occhi il mondo terreno e quello celeste, in modo da superare la prova della pesatura del cuore del Dio Thot e volare nuovamente verso il cielo. L’occhio sinistro simboleggia anche la donna e quindi la luna, mentre quello destro simboleggia l’uomo e dunque il sole. Ricollegabile al Dio Horo è anche il simbolo che si erge al di sopra della testa del leone della chiesa viterbese: un triangolo contenente un occhio aperto.  Se è vero che esso rappresenta la Trinità, a cui la chiesa è intitolata, è altrettanto vero che si tratta di un simbolo antichissimo, nato molto prima del Cristianesimo, con valenze profondamente esoteriche, anch’esso rintracciabile in leggende antichissime risalenti alle prime fasi della storia egizia. E una di esse si ricollega proprio al Dio Horo, la divinità che aveva come occhi il sole e la luna, rispettivamente l’astro del giorno e quello della notte. Se si considera che i segreti dell’arte di costruire, posseduti dalle antiche maestranze, sarebbero stati importati proprio dal lontano oriente, la scultura sovrastante l’ingresso principale della chiesa della Trinità potrebbe veramente essere il leone della notte di Horus, portatore di un monito molto chiaro a chi si dovesse avvicendare oltre l’ingresso e intraprendere il cammino verso l’altare, da sempre interpretato come il percorso spirituale del fedele. Anche su questa facciata c’è la firma degli enigmatici comacini. Essa fu realizzata dai maestri comaschi Giuseppe Prada e Giuseppe Spinedi che eseguirono il disegno dell’architetto romano Giovan Battista Gazzale. Prada e Spinedi si stabilirono a Viterbo per un lungo periodo, mettendo in atto la loro opera attraverso l’applicazione di quelle segrete regole custodite dalla loro congregazione di comacini e che, si pensava, fossero state addirittura ereditate dai templari, che le avrebbero importate proprio dalle terre d’oriente.

Tiziana Mancinelli

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Foto © GdZ

Tratto dal libro “Il Sole d’Argento” di Tiziana Mancinelli

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Redazione Viterbo Direttore responsabile Quinta Epoca. Economista, giornalista e scrittrice.