Home Attualità Fila di rose in omaggio alla “Rosa” che non c’è, ma Viterbo sente il suo 3 settembre.
Fila di rose in omaggio alla “Rosa” che non c’è, ma Viterbo sente il suo 3 settembre.

Fila di rose in omaggio alla “Rosa” che non c’è, ma Viterbo sente il suo 3 settembre.

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Viterbo, 28 agosto 2020 – Dalle parti di Porta Romana lo chiamano «Il Gufo», personaggio noto alle cronache, almeno a quelle di Quinta Epoca che dal 2017 racconta la sua storia, per un rituale che puntualmente mette in atto ogni anno nei pressi di quello che è conosciuto a tutti i viterbesi come «il cantiere di San Sisto», cioè quello che dalla fine di agosto  prende forma con una colossale impalcatura d’acciaio, destinata ad ospitare la macchina di santa Rosa fino al fatidico «Sollevate e Fermi» del capofacchino la sera del 3 settembre, dopo che l’imponente campanile di luce è stato consegnato nelle sue mani dal sindaco di Viterbo per iniziare il suo Trasporto. Qualche giorno prima del montaggio della macchina, il Gufo si affaccia a largo San Sisto con un mazzolino di rose in mano, e dopo un caffè al Red Rose di Arianna Galletta, le colloca sulle transenne installate in attesa dell’arrivo dei pezzi della macchina per essere assemblata a ridosso delle mura di Porta Romana. Ogni anno, lo stesso rituale. Immancabile. Puntuale. Immutabile. In giro per la città ce ne sono tanti di riti ispirati alla tradizione di santa Rosa: ognuno ha il suo, insieme con gli amici, con le associazioni, in pubblico o in privato, quello della propria famiglia, della propria casa, o semplicemente del suo interiore sentire. Un gesto rituale che quel 3 settembre rinnova il legame a una storia, comune a molti, a una tradizione antica, in cui ognuno si ritrova, e ritrova il suo senso di essere qui, in un luogo, in un tempo, di appartenergli, anch’egli con la sua di storia, vissuta, in quei giorni, in un contesto più grande e universale, quello della sua comunità. Quest’anno che il Trasporto è stato annullato per il Covid19, quel legame non si è per niente spezzato. I viterbesi, al contrario, proprio in questo momento che guardando su, verso la cima di Porta Romana, non ritrovano quella figura familiare, rassicurante, amata: la macchina, sembrano aggrapparsi ancora più forte a quella corda invisibile che li lega da sempre al simbolo della città, e tirarla verso di sé, come per contrastare quella forza innescata dalla pandemia che, invece, quest’anno, quel simbolo lo allontana dalla sua gente, così come ogni altra certezza, dopo aver dimostrato, che non ce n’è una capace di non incrinarsi, crollare, sparire. Una pandemia che è stata in grado, per la prima volta nella storia dal dopo guerra, di fermare la macchina. Ma non  i viterbesi. Che nonostante l’annullamento del trasporto del 3 settembre, in questi giorni si stanno organizzando per celebrarlo a modo proprio. Anche il Gufo, da qualche giorno, nonostante a San Sisto non ci sia nulla quest’anno, anzi proprio per questo, ha moltiplicato il suo omaggio a Rosa. Al primo mazzolino di rose, apposto sulla ringhiera del cortile della chiesa di San Sisto, hanno fatto seguito tante altre, una rosa al giorno, fino a dare vita a una fila di fiori. A chi gli ha domandato per quanto continuerà il suo omaggio a Rosa, avrebbe risposto: «beh, mettiamole fino a piazza del Plebiscito». E chissà che qualcuno non abbia già pensato a qualcosa di simile. Proprio ieri l’associazione Viterbo On, appena costituita, ha lanciato la sua idea: «Alla vigilia del 3 settembre invitiamo tutti a mettere dei fiori nelle finestre, nei balconi, nelle vetrine, nelle vie e nelle piazze. Vorremmo che il 3 settembre Viterbo si colori di fiori, un gesto di speranza e, allo stesso tempo, una manifestazione della nostra determinazione ad andare oltre questo momento di difficoltà».  “Gloria” non c’è: ma ovunque si sente l’eco della macchina. Forse anche più forte di prima, perché è proprio nell’assenza che si avverte la vicinanza e l’attaccamento a qualcosa di caro.

Redazione Viterbo Direttore responsabile Quinta Epoca. Economista, giornalista e scrittrice.