Home Attualità Santa Rosa 2020: “cronaca” di un Trasporto “mancato”.
Santa Rosa 2020: “cronaca” di un Trasporto “mancato”.

Santa Rosa 2020: “cronaca” di un Trasporto “mancato”.

0
0

Viterbo, 4 settembre 2020 – Sono le 21 del tre settembre 2020: all’angolo tra la vetusta torre con l’orologio di San Sisto e la cinta muraria su cui si apre Porta Romana si alza una luce blu. La segui con lo sguardo e ne perdi la fine tra le stelle. Si smarrisce tra i puntini lontanissimi di una notte insolitamente buia e spenta. E in quell’infinita oscurità, alla fine di quel raggio di luce blu, scorgi una città che cerca disperatamente il suo volto. In questa notte, lontanissimo. Come l’eco del capofacchino: «Sollevate e fermi», di cui si sono imperniate le pietre di questo angolo della città. Basta guardarle, per sentirlo. Il presente è solo un ricordo. Il futuro un’incognita: una suggestione di incertezza diffusa e radicata dalla pandemia, che ha dimostrato che nulla in questo mondo che abbiamo dettagliatamente e minuziosamente costruito, è incrollabile. Nemmeno una colonna alta oltre trenta metri, con centinaia di secoli di storia e l’amore di infinite generazioni. Anch’essa sparita: come la polvere al vento che resta di un bastoncino di legno appena consumato dal fuoco. Impossibile da credere, anche solo dodici mesi fa. Quando la macchina sul sagrato della chiesa di Santa Rosa aveva salutato tutti con un arrivederci al 2020. Il Trasporto, una certezza. Una delle tante che in questo anno sono crollate. Il fuoco,  però, nel cuore dei viterbesi arde. Anche con un 3 settembre così. Nonostante le paure di questo anno strano. Diverso dal solito. Un tempo che ha fermato la colossale macchina del progresso, ma con essa ha triturato anche le tradizioni, il passato, che l’uomo conserva nella memoria, come un codice genetico della propria identità storica e culturale. E questo 3 settembre 2020, orfano della sua Luna, della sua luce più folgorante, tra gli astri della notte di Rosa, ci ha mostrato come sarebbe il mondo senza consapevolezza delle nostre origini, della memoria di un cammino fatto da una comunità, dei suoi valori specifici, dei suoi simboli, radicati nel cuore e nella terra che abita. L’anima di un popolo è nella storia, nei miti, nelle leggende, nelle usanze che lo contraddistinguono con la loro unicità, diversità, e il profondo legame con l’angolo di mondo che esso vive. Per la prima volta nella storia, la macchina di Santa Rosa si è fermata. In quella notte affollata di suoni, di grida, di colori e di applausi, di emozioni e di speranze, di devozione, è calato il silenzio. La notte scura sembra scesa fino a terra, a cancellare le strade e le piazze cittadine, in un buio indistinto, dove tutto sembra senza nome. Una comunità improvvisamente muta. Che ha perso la sua voce. E in quel vuoto tombale, lei, la macchina, ha comunque dispensato la sua lezione, mostrandoci come sarebbe questo angolo di mondo se un giorno venissero sradicate le nostre radici, se in un tempo avvenire dimenticassimo chi siamo, se perdessimo interesse nella nostra specificità culturale, silenziando quella dimensione romantica che ci lega alle suggestioni dei nostri miti e del nostro immaginario collettivo, senza il quale un popolo perde una cosa veramente preziosa: la sua anima. Ma la Viterbo 2020 è molto lontana da tutto ciò. Se l’aspetto esteriore della tradizione quest’anno poco si è visto, in quel vuoto lasciato aperto dalle luci di Gloria che si spengono, ha pulsato ancora più forte il cuore e  lo spirito di una città intera, cresciuto in questi secoli all’ombra della macchina e della lezione di Rosa. Anche se la sua candida figura di luce quest’anno non si è vista sfiorare i tetti delle case, questi non sono stati giorni qualunque. Quel sentimento che essa suscita, è talmente radicato nella popolazione, che è in grado di ardere anche nell’eco delle iniziative annullate. Ci sono stati i commercianti che hanno lanciato l’idea ben riuscita di esporre un vaso di rose fuori ai negozi e alle finestre, porte, balconi, delle abitazioni private, che hanno offerto le composizioni di fiori allestite sul cammino incompiuto della macchina: una alla partenza, una all’arrivo e cinque sulle soste. Il cittadino, divenuto popolare, che lascia rose sulla ringhiera del cortile di San Sisto. E la fila, interminabile, di viterbesi, ma anche turisti, che in questi giorni, con la tristezza dentro, si sono riversati al santuario, cercando conforto nella figura della piccola Rosa esposta all’interno delle sale, non solo per il mancato trasporto, ma per l’anno tremendamente difficile che ha toccato tante persone nel privato, mettendo in discussione salute, lavoro e vita sociale. Una città che in questi giorni, in mancanza del rinnovo del Patto con la sua patrona, si è vista andare alla ricerca di un denominatore comune che potesse farla sentire comunità, ispirata dall’idea di Rosa. Si è visto il desiderio di riconfermare un legame, di sentirsi collettività, nella condivisione di valori comuni, di munirsi di una bussola diventata ancora più urgente in mezzo alla  tempesta dell’anno del Covid. Al di là delle iniziative pubbliche, in molti, nello spazio privato della loro vita, hanno certamente rievocato riti e abitudini che riempiono di contenuto quel grande simbolo che è diventato oramai il 3 settembre:  c’è chi ha messo in tavola la “pagnottella di Santa Rosa”, chi ha fatto pranzi con i parenti, seppure per gli altri sul calendario il 3 è un giorno qualunque, c’è chi ha comprato fiori per portarli ai piedi della teca della santa. Chi ha esposto una rosa sul davanzale. Chi ha acceso una candela. Chi ha detto una preghiera sotto il peso degli affanni della propria vita, più leggero in questa sera che i facchini sollevano la grande mole della macchina in uno sforzo comune in cui ci sentiamo tutti idealmente partecipi. Tanti, e tanti, altri gesti, scaturiti dalla parte più intima di ognuno, sono stati compiuti, molti di essi non li conosceremo mai, non arriveranno mai sulle pagine di un giornale. Ed è giusto così.  Una cosa ora, però, la sappiamo, e la ricorderemo. Terremo memoria di un 3 settembre senza trasporto. Ma un giorno diremo come quel 2020 senza il Sollevate e Fermi, più di qualunque altro anno della storia, ci diede una lezione preziosa: ci mostrò come sarebbe stato il nostro mondo senza tutto quello che ci contraddistingue come viterbesi, senza il grande patrimonio di riti, di simboli e di passione che abbiamo. Sarebbe vuoto. Spento. Triste. E il 2020, tutto ciò, ce l’ha mostrato proprio in tempi in cui l’attenzione verso alcuni valori che abbiamo conquistato nel lungo cammino delle nostra storia, vacilla pericolosamente.

Redazione Viterbo Direttore responsabile Quinta Epoca. Economista, giornalista e scrittrice.